Viene qui pubblicato uno stralcio del contributo apportato durante il convegno - I Giornata di Studi – “Il cantiere della formazione: esperienze di restauro nelle Accademie di Belle Arti” - 31 maggio 2019. Accademia di Belle Arti Aldo Galli, Como in qualità di docente della Scuola di Restauro di Hdemia-Santa Giulia, intervento svolto in collaborazione con la restauratrice Prof.ssa Maria Cristina Regini.
Come è necessario che si trasformi la formazione del restauratore alla luce dell’impianto normativo che ne caratterizza la figura professionale e le competenze? Il D.M 154 [1] è l’ultimo arrivato nel panorama legislativo di settore e sembra essere un ulteriore tassello operativo di quel progetto più ampio già tracciato nel Codice [2], e iniziato con la riforma dei corsi di laurea e con la definizione della figura del restauratore tracciata nel D.M 26 maggio 2009, n°86.
Un percorso normativo in continua evoluzione, teso probabilmente a caratterizzare il restauratore in un ambito professionale ben più elevato dell’attuale rango di “artigiano colto”, con l’obiettivo quindi di creare un professionista riconosciuto alla stregua degli altri operatori presenti nel cantiere di restauro. L’istituzione del ciclo unico quinquennale costituisce premessa indispensabile per questo cambio di passo e naturalmente anche l’istituzione dell’Albo dei Restauratori – quando a regime – ne è sigillo istituzionale.
Il nuovo decreto tuttavia esplicita un’ulteriore indirizzo, regolamentando tutto il processo di affidamento, validazione, valutazione, esecuzione e collaudo di lavori pubblici di opere di restauro, certamente nelle categorie specialistiche proprie del restauro (SOA OS -2A Superfici decorate di beni immobili del patrimonio culturale e beni culturali mobili di interesse storico, artistico, archeologico ed etnoantropologico). La progettualità, la previsione economica e la verifica di un’opera pubblica vengono ora indicate come competenza del restauratore, il quale avrà padronanza e voce in capitolo in tutti i livelli e i contenuti della progettazione nelle sue fasi (fattibilità tecnico-economica, definitiva, esecutiva). Non solo nell’esecuzione dell’opera.
La portata innovativa del Decreto ministeriale 22 agosto 2017, n. 154, costituisce, tra le altre cose una spallata formidabile al granitico art. 52 del Regio Decreto 23 ottobre 1925, n. 2537 [3] secondo il quale i “beni culturali” (e la loro progettazione) erano esclusivo appannaggio degli architetti. La sistematica applicazione da parte delle Soprintendenze, ha di fatto da sempre relegato il restauratore ad una posizione di subordine ogni qualvolta l’opera non fosse di fatto un semplice oggetto mobile. Ma il combinato disposto di questa innovazione normativa, mette ora al centro del progetto anche il restauratore che a questo punto non può più limitarsi ad essere esecutore materiale del progetto di altri. Le porte sono ora ufficialmente aperte per entrare di diritto nelle commissioni di valutazione, negli uffici tecnici comunali dove si svolge attività di restauro, o ancora ottenere incarichi di progettazione e direzione dell’opera (naturalmente, in tal caso, non dell’esecuzione), ricoprire incarichi di validazione o di collaudo di opere di restauro. Per poter accedere a tutto ciò le competenze richieste sono ben più elevate e l’Istituzione accademica ha il dovere di preparare i propri studenti agli effetti di questa rivoluzione [4]. La nuova generazione di restauratori deve oggi acquisire competenze “progettuali”, nel senso più ampio del termine, per poter coordinare e organizzare un’opera di restauro secondo la prassi prevista per un’opera pubblica e pertanto tali competenze potranno comprendere l’organizzazione (o la diretta esecuzione) di valutazioni preliminari, rilievi geometrici, analisi preventive, elaborati progettuali grafici, computazioni e capitolati. Certo, avendo coscienza di fermarsi laddove queste competenze vadano a sovrapporsi a quelle dell’architetto o ad altro specialista, con il quale il restauratore dovrà imparare a confrontarsi e dialogare in un rinnovato rapporto di eguaglianza. Per questo si è reso necessario pensare ad un moderno insegnamento del restauro che necessariamente passi dall’insegnamento della complessità progettuale, che trasmetta agli studenti la metodologia necessaria alla costruzione del “progetto del restauro” come premessa indispensabile di un’opera. Partendo dal quel metodo conoscitivo e indagatore dello stato di fatto che in Italia, nelle facoltà di Architettura e nelle Accademie di Belle Arti, conosciamo bene. Si tratta quindi un approccio multidisciplinare per il quale è necessario creare una serie di interconnessioni tra le diverse docenze per favorire questa visione più ampia della professione del restauratore, senza dimenticare che per esserlo sono necessarie abilità manuali e competenze pratiche. E’ di fatto una visione umanistica della professione del restauratore, dove necessariamente devono fondersi conoscenze tecniche, capacità personali, cultura del passato e innovazione.
Il Restauratore di beni culturali si qualifica come tale soprattutto nella misura in cui è in grado di gestire l'intera sequenza dei processi portanti dal sopralluogo e analisi dell'opera, alla progettazione dell'intervento, alla sua esecuzione, alla definizione e gestione della conservazione programmata. Si tratta quindi di una professionalità eminentemente di processo, in cui gli aspetti di diagnosi, pianificazione e controllo sono oggi – con le modifiche normative - anche separabili dagli aspetti realizzativi.
Le conseguenze immaginate con l’entrata in vigore del D.M 154 obbligano ancor più la didattica alla presentazione del processo progettuale e i contenuti possono certamente essere mutuati dalla legislazione in tema di lavori pubblici, la quale costituisce traccia autorevole per descrivere i meccanismi che regolano l’attività professionale, i rapporti con la committenza, la preventivazione di un’opera e le regole contrattuali alle quali ci si dovrà attenere nella propria attività.
Una visione per “gradi del progetto”, come proposta nella normativa, aiuta a una comprensione assistita della complessità progettuale e favorisce la sistematizzazione di un metodo di analisi ed intervento per fasi via via più approfondite.
Nella visione umanistica indicata nel titolo , si ritiene indispensabile far toccare con mano agli studenti cosa voglia dire la ricerca storico critica, favorendo l’accesso e la conoscenza dei luoghi preposti per eccellenza alle fonti storiche (Archivio di Stato, Archivi Comunali e parrocchiali, etc.). Far comprendere l’utilità di tutto questo per l’acquisizione indispensabile della conoscenza dei materiali costitutivi, delle vicissitudini dell’oggetto del restauro, è una premessa culturale indispensabile, ancor più oggi dove ci si accontenta continuamente di ciò che propone un motore di ricerca….
La didattica avrà così il compito di illuminare ed esemplificare circa l’utilità della ricerca tra le polverose carte di un archivio parrocchiale per ritrovare, tra i contratti con l’artista della tela o della scultura o dell’affresco le antiche tecniche di composizione e di utilizzo dei materiali (pietre, malte, intonaci, colori, tele, telai).
Senza questo approccio culturalmente rilevante, il rischio è quello di formare ottimi tecnici ma di visione ristretta…Volendo fare un parallelo in campo medico, è la stessa differenza che passa tra nuove generazioni di medici, abituati a fare diagnostica esclusivamente attraverso analisi ed immagini, rispetto ad una pratica più tradizionale di medici appartenenti a qualche generazione indietro che cercava conferme nell’anamnesi del paziente, negli stili di vita, nella storia personale…
NOTE
[1] Decreto ministeriale 22 agosto 2017, n. 154 (Regolamento sugli appalti pubblici di lavori riguardanti i beni culturali tutelati ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016)
[2] D.M. 86 del 26 Maggio 2009 Regolamento concernente la definizione dei profili di competenza dei restauratori e degli altrioperatori che svolgono attività complementari al restauro o altre attività di conservazione dei beni culturali mobili e delle superfici decorate di beni architettonici, ai sensi dell'articolo 29, comma 7,
del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio.
[3] Regio Decreto 23 ottobre 1925, n. 2537 (Regolamento per le professioni d'ingegnere e di architetto)
[4] Si pensi in tal senso alla portata straordinaria del D.M. 86 del 26 Maggio 2009
[5] D.M. 86 del 26 Maggio 2009: studio e interpretazione della normativa affidato internamente al Prof. Vasco Fassina, docente dell’Accademia SantaGiulia
BIBLIOGRAFIA
1. Cassese Giovanna, “Identità e prospettive delle scuole di Restauro delle Accademie di Belle Arti in Italia”, in “Kermes. Restauro, conservazione e tutela del patrimonio culturale” Lexis Compagnia Editoriale , Torino, N.100 Ottobre-Dicembre 2015, pp. 85-88.
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